Il Coro a Gerusalemme
GERUSALEMME!
Santa Pasqua 2018: eccoci arrivati dove un sole bianco illumina la cupola della Roccia e scalda il Muro del pianto. Ecco le strade di pietra, che i ragazzi percorrono a salti, come i carri e le ceste che arrivano ai mercati e alle botteghe, che ci scivoli se non stai attento. Ecco la nostra terrazza: allunghi lo sguardo, lo apri a destra e a sinistra e la città dal Monte degli Ulivi fino alla Gehenna ti tiene dentro di sé. È il vento che potrebbe arrivare, a spargere il-canto-che-noi-cantiamo-perché-noi-siamo-cantori-e- siamo-qui-per-cantare.
Andiamo questa sera, e vediamo la Basilica nell’oscurità, e tra i vicoli spenti con pochi turisti a quest’ora. Domani entreremo nel luogo che diventerà nostro per questa manciata di giorni. Entreremo nel Santo Sepolcro ad ogni ora del giorno, dopo che il discendente del califfo Nuseibeh aprirà le porte di questo luogo sacro, di questo ombelico del mondo, di questo intricato crocicchio di velluti e suoni e profumi che magicamente da secoli sta in equilibrio. Sosteremo davanti alle edicole dei nostri fratelli cristiani, ci inginocchieremo davanti al luogo della Deposizione, saliremo sul Golgota e spargeremo oli profumati sulla pietra.
Ma soprattutto canteremo con i frati francescani della custodia di Terra Santa la Liturgia delle ore del Triduo Pasquale. Stringendosi perché i pellegrini sono vicinissimi, e attenti a non superare il tempo consentito dallo status quo, le nostre voci saliranno fin oltre l’alta cupola come incenso.
La liturgia del tempo pasquale che abbiamo sempre cantato nella nostra parrocchia ha un segno particolare: tutto ciò che stiamo cantando è accaduto qui, Hic. Gli splendidi brani quali i corali delle “Passioni” di Bach, lo “Stabat Mater”, i “Vexilla Regis”, hanno questo paesaggio interiore, poggiano su questa rossa terra.
E’ poi nella Chiesa dell’Agonia che ascoltiamo quei passaggi che il Vangelo ci ha narrato tante volte: siamo qui nella notte della Cena, la notte del pianto e del tradimento, siamo qui con Pietro e gli altri nel giardino del Getsemani. Siamo qui per cantare.
E “Getsemani”, il brano composto dal nostro caro Padre Armando Pierucci, organista per oltre 20 anni della Basilica del Santo Sepolcro e fondatore della scuola di musica di Gerusalemme, lo cantiamo tutti insieme: con il coro arabo della scuola di musica, con i fedeli di Gerusalemme, con i frati della Custodia.
La Santa Messa della domenica di Pasqua non si può semplicemente descrivere. Ci trova stanchi e bisognosi di sonno, sovraccarichi dei giorni vissuti intensamente fino all’ottundimento. Eppure tutti i nostri sensi sono di nuovo all’erta, e l’esperienza ci conquista in modo definitivo.
L’amica Véronique ci porta sul Monte degli Ulivi, in un altro luogo incantato che guarda su Gerusalemme, come anche Cristo fece, piangendo su di essa. E ci porta a conoscere i suoi amici: persone che attraverso la musica sacra hanno riscoperto l’origine comune delle tradizioni liturgiche che sembrano aver portato oggi i cristiani in strade differenti e lontane.
Anche noi sentiamo che la musica ha la possibilità di unire, perché anche noi oggi ci sentiamo uniti, unici, pur nelle nostre differenze. Noi che chi vuole sempre cantare e chi desidera anche un po’ di silenzio, chi si nasconde e chi è esuberante, chi sceglie le strade per i ricordini, chi sceglie la terrazza. Io per sempre la terrazza.
Anche noi oggi, che la dobbiamo lasciare, ci sentiamo grati ma più soli, come quando lasciamo un fratello o una mamma che torneremo chissà quando a trovare. Forse, Gerusalemme ha un segreto. Il segreto di cullare da secoli l’infanzia dell’umanità. E quando la madre culla, canta.
Raffaella,
una corista